È un dato di fatto. Troppe immagini uccidono
l’immagine.
Ecco quale potrebbe essere la
malattia della felicità: non più vedere ma controllare che tutto proceda
bene, come previsto. Così come il “tutto è arte” allude a un mondo in cui
l’arte non è più granché, il tutto in vista segna il declino e il trionfo dello
sguardo.
Si può dimostrare che la TV favorisce e non favorisce la democrazia, la verità, la pace fra i popoli e la
libertà dell’uomo.
L’organo
della democrazia
Che senza Tv, l’elettore medio, che
non legge più, non saprebbe nulla dei
programmi e dei partiti in competizione. Si tratta dunque dello strumento più
democratico delle società democratiche e di un formidabile mezzo di
comunicazione fra le persone.
Ma: non è certo difficile
mostrare come la Tv
spoliticizzi la politica, demotivi l’elettore, deresponsabilizzi il
responsabile e assecondi pericolosamente la personalizzazione del potere. La
cosa pubblica diviene una verità, l’ambiente politico una colonia dello show-business.
L’ineguaglianza risiede anche nella
capacità di farsi vedere, personalmente. In tutti i luoghi pubblici la
precedenza del volto già visto da qualche parte su quello mai visto, da nessuna
parte, è norma.
La democrazia non è la legge della
maggioranza ma il rispetto delle minoranze. L’imperialismo dell’immagine nella tv non si direbbe faccia proprio quello.
Una democrazia esige cittadini
attivi. La Tv ,
unita al sondaggio permanente, spinge a disertare lo spazio pubblico, come in
una sorta di arresti domiciliari. Riduce il legame sociale a una relazione
senza scambio. Ognuno a casa sua. Spoliticizzare significa in primo luogo
immobilizzare.
Far finta: questo sarebbe il ruolo
provvidenziale impartito nella nuova democrazia. Il teatro
politico non è certo cosa nuova (il parlamento da noi è un anfiteatro). Ma la
novità è in questo: in mancanza di intrighi e di poste in gioco, la
teatralizzazione dell’azione diviene l’azione stessa (Renzi? )
L’apertura
al mondo
Tutto ciò che delocalizza civilizza,
e la Tv favorisce
una presa di coscienza planetaria e la causa umanitaria.
Tutto ciò non è falso, e nemmeno
vero. A domicilio, non si viaggia su un qualche atlante. A selezionare i luoghi
di destinazione non siamo noi ma l’attualità. Le immagini dei paesi lontani
appaiono dunque per qualche minuto sui nostri schermi solo in caso di tragedie,
di guerre, catastrofi. L’attualità costruisce la storia che costruisce la
geografia. L’inverso, quindi, delle determinazioni reali. La comunicazione è
libera, ma non l’accesso al mercato dell’informazione.
La
conservazione del tempo
L’effetto patrimonio ha offuscato la
differenza fra il vecchio mondo della conoscenza e quello nuovo della
comunicazione archiviabile e stoccabile come l’altro.
Eccoci dunque tecnologicamente
affrancati dall'irreversibilità del tempo che scorre. Ormai, ieri può essere
oggi, o domani.
Tutto ciò è vero, ma anche il suo
contrario. La fuga senza ritorno delle immagini che avviene giorno dopo giorno
è infatti un canale di ricambio per le memorie e una dissuasione per
l’intelligenza. Non è possibile, senza preliminare registrazione, bloccare o
far tornare indietro un’ondata di immagini così come si può fare con un fascio
di pagine.
È proprio la soppressione continua
delle distanze, dei termini e dei ritardi che costituisce l’originalità della
Tv sui mezzi di informazione scritta, in particolare in tempi di crisi.
La comunicazione rassicura,
l’informazione disturba. Entrambe ci sono necessarie, e il giornalismo ha
l’impegnativo compito di trovare la giusta distanza fra queste due polarità
antagoniste.
A forza di voler esercitare il
diritto di prelazione sull’evento, la cultura dello scoop, il ritmo tipico del nostro audiovisivo trasforma
la sovrainformazione in disinformazione.
Disincantarsi dalle immagini trasmesse alla velocità della luce.
L’effetto
di realtà
Ma l’effetto di realtà, ottimale
sullo schermo video, è minato. Perché è senza causa. Davanti a queste immagini
in diretta e in tempo reale, passo spontaneamente dall'altra parte dello
schermo, nel reale. Qui sta la mistificazione: Perché c’è tutto un gioco di esibizione e di selezione dietro l’immagine presa in considerazione fra mille altre possibili e
mostrata al loro posto, un gioco complicato di fantasie, di interessi e
talvolta di rischi. Ma nessuno sguardo è obbiettivo, perché persino le
telecamere automatiche sono piazzate da una volontà umana.
La nuova mentalità collettiva non è
così empirica e priva di pregiudizi come vuole far credere. Essa ha sostituito
il dogmatismo della Verità con il dispotismo dell’espressività. La verità non è
più ottenuta, né elaborata, è qualcosa che c’è già , qualcosa di selvaggio e di
impulsivo che l’espressione farà semplicemente
passare dall'interno all'esterno. La verità nella tv è originale, non finale.
Sorridere è una tecnica, un obbligo
di apparenza che non impegna a nulla. La spontaneità mediatica, come il genio è
una lunga pazienza: una questione di disciplina e di apprendimento.
L’autoreferenzialità mediatica, come
sappiamo, fa si che una frottola ripresa e diffusa diventi una quasi-verità.
Verrà il giorno in cui la messa in
immagini del mondo farà del mondo un’immagine; della storia un telefilm; e di
un combattimento incerto come tutti un western come un altro. “banalizzando lo
straordinario e sublimando il banale”.
Grazie, a presto!
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